
Agent Carter: Recensione degli episodi 2.01/2.02 – Lady in the lake/A view in the dark
Volare con la fantasia è una innocua illusione che non si può negare a chi, da non professionista, si impegna a tener su un sito di recensioni, sottraendo tempo ai suoi impegni lavorativi per immolarlo lietamente sul venerato altare di una incontrollabile passione. E allora può capitare di spingersi in pindarici voli immaginando che anche chi produce una serie tv sul quale si è scritto si interessi del giudizio fornito su una prima stagione e ne faccia tesoro per emendarne difetti ed evidenziarne i pregi nella seconda. Niente da fare, Katia. Tempo di svegliarsi anche stavolta.
La doppia premiere di Agent Carter rivela, infatti, mostra quanto difficile a volte sia per gli autori di una serie dare un senso al proverbio sbagliando si impara. Riprendono le avventure di Peggy e ricominciano con lo stesso passo spedito anche gli errori della passata stagione. La volitiva ed indipendente agente dell’SSR (da cui, ricordiamolo, nascerà quello S.H.I.E.L.D. che tanta importanza avrà nell’universo Marvel sia nella versione a fumetti che, ancora di più, nella moderna veste cinematografica) era riuscita a scrollarsi di dosso la diffidenza sessista dei colleghi pur vedendosi ancora una volta scavalcare dal maschio alfa di turno come conseguenza dell’inevitabile e ingiustificabile ruolo subalterno delle donne negli anni Quaranta. Un salto temporale di tre mesi è sufficiente a liquidare l’unico carico ancora pendente, mostrandoci la cattura di quella Dottie che tanto inarrestabile era stata nella prima stagione, quanto incauta si dimostra in questa premiere. Ancora più sorprendente della facilità con cui la principale antagonista di Peggy venga arrestata, è la repentina decisione di liquidare rapidamente questa faccenda spedendo l’agente Carter via da New York, con la valida scusa di aiutare l’ex agente semplice Sousa nel suo nuovo ruolo di direttore della neonata sede di Los Angeles. Una scelta che motiva un cambio di location che, sebbene permetta di riverniciare la serie con una fotografia più solare e abiti e modi di fare differenti (come insistono a sottolineare tutti quelli che accolgono Peggy al suo arrivo), sembra troppo venir fuori dal nulla finendo per apparire come una ripicca di un Jack timoroso di perdere un ruolo centrale nello sviluppo del futuro erede di un SSR prossimo alla chiusura.
Come prevedibile e necessario, la doppia premiere pianta i primi semi da cui germoglierà la storyline trainante della seconda stagione, mostrando una misteriosa sostanza dalle proprietà tanto indicibilmente potenti quanto letalmente pericolose e una società segreta (legata all’Hydra come potrebbero suggerire le spille trovate in possesso di Dottie e del killer?) i cui torbidi fini si possono solo intuire da un rapido dialogo. Al tempo stesso, presenta anche l’antagonista femminile il cui background da diva del cinema e moglie influente offre la necessaria copertura per gli inevitabili doppiogiochismi che da un villain ci si aspetta. Eppure, fin dall’inizio, questa trama orizzontale fa squillare qualche campanello di allarme per il modo incoerente in cui questa zero matter viene trattata. Prima ci mostra che è capace di assorbire tutto ciò che è nei suoi dintorni facendolo sparire (passaggio extradimensionale?) e poi invece è tanto docile da potersi trasportare in un normale barattolo di vetro (perché che quello sia un contenitore con confinamento magnetico è decisamente irrealistico anche per una serie scifi). Allo stesso modo, la scelta di un attore di colore per il brillante fisico Wilkes è piuttosto azzardata. Non solo per la rapidità con cui passa dal pulire i pavimenti dell’osservatorio ad un ruolo di primo piano in una ricerca supersegreta all’avanguardia, ma soprattutto perché in quegli anni era inimmaginabile anche solo entrare in un bar (come infatti dimostra la reazione sdegnata del barista a cui Peggy e Wilkes si rivolgono durante la loro fuga). Anche l’esistenza di un locale tanto raffinato frequentato da gente di colore apparentemente piuttosto facoltosa è forse un po’ troppo avanti rispetto agli anni in cui è ambientata la serie. Certo, in un prodotto del genere non si dovrebbe dare troppo peso al realismo, ma non è mai saggio richiedere a chi guarda una totale e incondizionata sospensione dell’incredulità.
La prima stagione di Agent Carter si era mostrata un prodotto piacevole, ma con potenzialità inespresse perché troppo poca attenzione era stata data a quelli che sarebbero potuti essere i punti di forza. Più Jarvis, più Stark, più nascita dello S.H.I.E.L.D. aveva chiesto Katia a nome degli spettatori tutti. Più Jarvis si è avuto, ma del resto ancora non c’è traccia. Basteranno la zero matter e un nuovo villain al femminile a compensare queste assenze? Dai, su, accontentiamo Katia!
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