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A Very English Scandal: Recensione della miniserie con Hugh Grant

Non c’è un modo più appropriato di definire la serie tv A Very English Scandal se non, appunto, “estremamente british”.

La tragicomica storia vera del politico britannico Jeremy Thorpe e della sua relazione con un giovane mentalmente fragile, Norman Scott, si snoda per un totale di tre episodi, un’ora ciascuno. Tre ore di magistrale recitazione, improbabili imprevisti e una sceneggiatura che non ha nulla da invidiare al grande schermo. Anche perché, ammettiamolo, c’è ancora bisogno di fare una distinzione tra grande e piccolo schermo, quando si parla di qualità, al giorno d’oggi?

Non è difficile indovinare il perché A Very English Scandal sia un gioiellino. Alla macchina da presa troviamo il regista Stephen Frears, già brillante guida di The Queen, per cui aveva anche ricevuto una nomination all’Oscar nel 2007. La sceneggiatura, invece, è opera di Russel T. Davies, visto al lavoro su prodotti come Queer as Folk e Doctor Who.

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La vicenda che la serie tv della BBC, distribuita globalmente da Amazon, mette a nudo provoca nello spettatore sentimenti contrastanti, che oscillano tra l’incredulità, l’indignazione e la tristezza, sospinti a momenti alterni verso l’ambigua figura di Thorpe (Hugh Grant) o quella poliedrica di Norman (Ben Whishaw) – premio Golden Globe come Miglior Attore non protagonista in una miniserie nel 2019.

Una storia “banale”, ma tutt’altro che semplice

Recensione A Very English Scandal, Credits: Amazon

La storia, in realtà, è oltremodo banale. Jeremy Thorpe, un politico di buona famiglia e con un lavoro di grande responsabilità, inizia una relazione con un ragazzo molto più giovane di lui e con evidenti fragilità mentali: Norman Scott (all’epoca ancora Norman Josiffe). La storia tra i due va avanti tra alti e bassi, prima di capitolare e portare alla definitiva separazione. Una conclusione non priva di rancori e difficoltà.

Queste, eventualmente, emergeranno e porteranno Norman e cercare vendetta contro Thorpe, non immune dalle sue colpe. Tra queste anche l’aver tentato di uccidere Norman, una volta o due. Va bene, facciamo tre. Il culmine della loro relazione, setacciata dal pubblico scrutinio e priva di imparziale giudizio, scoppia in un’aula di tribunale, che sceglie di credere all’apparenza piuttosto che soccombere all’umiliazione. Non solo di Jeremy Thorpe ma di tutta una classe dirigente e “nobile” della società britannica.

Parlo di una storia banale nella recensione, quindi, non perché A Very English Scandal possa essere definita, nella sua interezza o in qualcuna delle sue parti, come banalità. Sottolineo piuttosto come gli elementi di questa vicenda, forse proprio perché reale, siano intessuti di decine, centinaia di riferimenti a scandali del mondo della politica o dello spettacolo. Scontati, per noi, che ne abbiamo le tasche piene di corruzione e giudizi deviati. Tutt’altro scontati per gli anni 60, periodo che fa da palcoscenico alla vicenda.

Un momento storico delicato per i diritti della comunità LGBTQ

Recensione A Very English Scandal, Credits: Amazon

Sarebbe sbagliato pensare che A Very English Scandal sia l’ennesima serie tv sui diritti della comunità LGBTQ. Certo, lo sfondo che fa da base alla vicenda è legato a doppio filo alla realtà di una comunità che, all’epoca, era ancora considerata illegale, aborrente. Come se essere se stessi o semplicemente vivere la propria sessualità potesse essere in qualche modo sbagliato.

Norman, veicolato dalla performance lodevole di Ben Whishaw, è la manifestazione di questo disagio della comunità. Non è un santo ma la sua storia di reietto – nonché ragazzo profondamente disturbato, segnato dalla sua non semplice iniziazione alla realtà, lo porta a diventare un’icona. Nel giro di tre minuti, proprio come accade con i cosiddetti “minuti di gloria”. Un’ascesa veloce quasi quando la sua successiva sconfitta, tanto nell’aula di tribunale che nella coscienza pubblica.

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Ma le sua disavventure (vere o verosimili) sono abbastanza per il pubblico. Malgrado non sia immune dagli errori commessi per vanità, il personaggio di Ben Whishaw permette al pubblico britannico di sentirsi al centro di uno scandalo degno della più “plebea” America. Questo ne fa un beniamino innalzato sul piedistallo della gloria il minuto prima e gettato nel fango il minuto dopo. Non si può fare a meno di provare pietà per Norman, nella minima parte concessa a qualcuno che è, seppur in minima parte, vittima della propria ingenuità e del proprio ego.

Hugh Grant nel ruolo che ha sempre meritato

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Recensione A Very English Scandal, Credits: Amazon

Non importa come se ne parli, purché se ne parli, giusto? Con la fama funziona allo stesso modo: non importa se per una comedy o un drama, basta essere ricordati e riconosciuti. Meglio se dal pubblico internazionale. Nel caso di Hugh Grant si tende a ricordarlo per ruolo come quello del Primo Ministro in Love Actually oppure l’antagonista Daniel Cleaver nei primi due capitoli della saga di Bridget Jones. 

Il ruolo di Jeremy Thorpe gli cuce addosso una drammaticità nuova, frizzante, credibile. Se non si conoscesse il passato di Grant si potrebbe affermare con assoluta certezza che non ha fatto altro che recitare in ruoli drammatici in tutta la sua carriera. Il suo Primo Ministro è un personaggio capriccioso, lamentoso ed ipocrita. Qualcuno disposto a nascondere la propria vita privata pur di avere successo in politica. Se ci fosse una manifestazione sul come “non essere” gay probabilmente la faccia di Jeremy Thorpe sarebbe su tutti i cartelloni.

Ma c’è un aspetto non indifferente da considerare, come il diritto di “uscire dall’armadio” quando e come se ne ha voglia. Una scelta di cui nessuno, forse nemmeno uno come Thorpe, dovrebbe essere privato.

Il rovescio della medaglia: chi è la vittima e chi è il carnefice?

Recensione A Very English Scandal, Credits: Amazon

I ruoli sembrano ben delineati fin proprio alle note finali di quella sinfonia che sono questi tre episodi. Ma davvero possiamo affermare, con assoluta certezza, che Thorpe sia il colpevole e Norman la vittima? Le luci e ombre sono indubbiamente tante ma come Norman si lascia trascinare dal circo mediatico del processo, così le motivazioni del suo amante-rivale sono nascoste in un passato brutale.

Forse tra i momenti più intensi di tutto il racconto visivo c’è quello della confessione di Thorpe sulle sue passate esperienze. Una confessione quasi si trattasse di una chiesa e il suo amico – lo straordinario Alex Jennings nei panni di Peter – fosse il prete incaricato di assolverlo. Cioè che Thorpe aveva così duramente cercato era stato un contatto umano amorevole, gentile, qualcosa che Norman era stato in grado di dargli (seppur per un breve periodo), a differenza della maggior parte degli uomini della sua vita.

Allora qual è il verdetto? Thorpe è il colpevole o la vittima? È diventato come è a causa di una società repressiva o di una paura personale? A voi il verdetto – visto che, è evidente, quello del giudice Cantley non è assolutamente affidabile.

Una serie tv da gustare tutta d’un fiato

Come non concludere questa recensione di A Very English Scandal se non proprio con l‘invito a guardare questo piccolo gioiellino? Vale la pena, credetemi. Se la recitazione e il cast straordinario non fossero abbastanza, se non foste ancora convinti dell’ambientazione, sappiate che un drama in salsa british è molto più interessante di un qualsiasi drama US. Gli inglesi sono molto più privati, anche nella sfera drammatica, e per quanto possa essere tragica anche la storia di Norman e Thorpe assume tinte comiche in questo trattenersi dei sentimenti.

Si parla di omicidio, abuso, violenza, ma non si tratta mai di tinte nere della HBO. Siamo pur sempre su Amazon! Perchè ai british piace così. E ci va più che bene.

Katia Kutsenko

Cavaliere della Corte di Netflix e Disney+, campionessa di binge-watching da weekend, è la Paladina di Telefilm Central, protettrice di Period Drama e Fantasy. Forgiata dal fuoco della MCU, sogna ancora un remake come si deve di Relic Hunter.

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