
007 Spectre: la recensione del nuovo film su James Bond con Daniel Craig
Spectre è il ventiquattresimo capitolo della saga che vede come protagonista James Bond, l’agente segreto entrato da tempo nell’immaginario collettivo. In questo capitolo, grazie ad un videomessaggio proveniente dal passato, 007 si mette sulle tracce della Spectre, un’organizzazione criminale segreta già nota agli appassionati della serie, mentre all’interno dell’MI6 il nuovo M si trova a dover lottare per garantire la sopravvivenza dell’intero progetto degli agenti doppio zero, gli unici con licenza di uccidere.
L’impostazione della storia è molto “bondiana” riprendendo e rinnovando molti dei temi classici dell’universo 007 trasportando lo spettatore da Città del Messico a Roma, dalle montagne austriache al deserto tunisino.
Daniel Craig, purtroppo alla sua ultima apparizione come Bond, è sempre più credibile nei panni di un agente segreto sofisticato, forte ed ironico e con Skyfall, il precedente capitolo, è diventato un Bond che si avvicina sempre maggiormente ai suoi predecessori meglio riusciti.
Il villian di turno è interpretato da Christoph Waltz che, pur offrendo una discreta prova, sembra sfruttare solo una piccola parte del suo potenziale, forse perché la caratterizzazione del suo personaggio risulta incompleta.
Stessa cosa accade anche per la principale Bond girl, la Dottoressa Swann, interpretata da Léa Seydoux, che sembra riuscire solo in parte nell’intento di uscire dal cliché della bella ed enigmatica donna che affianca Bond senza offrire niente di più alla storia ed al rapporto col protagonista.
In controtendenza con l’intera filmografia bondiana in Spectre trovano maggiore spazio personaggi secondari come M, Moneypenny e soprattutto Q, l’inventore dell’MI6, attualizzato in un giovane nerd con un rapporto molto enigmatico con Bond che, se ripresi ed approfonditi nei prossimi capitoli della saga, potrebbero portare ad una svolta e ad un ammodernamento della serie senza snaturalizzare il protagonista che non può che piacere “classico”, con lo smoking ad ordinare un Martini agitato, non mescolato.
Il title-track non dice nulla, anzi; la Bellucci è in comparsata e finisce una lettata in guepière (ma s’era già rivestita?), e la Seydoux in mise da Lana Turner giovane o K.Basinger in L.A. Confidential. La corsa sul Lungotevere è roba da Batman, -molto déjà vu- la stazioncina marocchina roba da “questo treno non ferma a Tucumcari”, e quando arriva la Rolls d’antan nel deserto sei quasi deluso perché senti che avresti avuto più emozione se fosse arrivato il “Wild Bunch” di Peckinpah. Lui Craig ha 50’anni e si vedono anche se la camicia è sempre inamidata come i capelli di Deboraha Kerr in “Le miniere di re Salomone” che pareva appena uscita dal parrucchiere in piena savana; e quel treno da Tangeri sembrava l’Orient Express (e lo smoking bianco da dove arrivava, da quella borsa da week end?). Certo è fiction, ma anche le bond-girl…dov’è l’ Hale Berry che esce da acque smeraldine di fronte a Pierce Brosnan, meno palestrato ma più chic? E Cristoph Waltz, quello di “Django Unchained” qui valido solo per il nostro bravo doppiatore? In compenso il prologo messicano -anche se gli scheletri li abbiamo già visti a New Orleans con Roger Moore- è grandioso, certamente la parte migliore del film (dove Tokio non l’ho riconosciuta, e nemmeno l’Austria, solo neve che poteva essere ovunque e niente Loden).
Sebbene per un’ora abbondante non abbia sentitto la necessità di guardare l’orologio, il film soffre per almeno quindici minuti di troppo -si ‘stalla un po’ nella seconda parte- ma intelligentemente con una intermission indicata di 5 minuti così uno si regola per la toilette riuscendo a praticarla se non c’è fila. Insomma, sarà anche un ‘nuovo’ James Bond ( “più intimo” che chissà che vorrà dire…visto il film), ma psicologismi a parte, io preferisco molti dei precedenti, anche per la colonna sonora. Un po’ tetro, il sole si vede poco anche quando c’è. Mi chiedo se cisarà ancora uno 007,ché anche M-Fiennes sta invecchiando (lontani i tempi del “Paziente Inglese”). Ci sarà? E chi sarà nel caso?
Vedrei bene Vigo Mortensen, ma anche lui non è un virgulto.
Si può vedere vedere, comunque, dato il panorama non edificante delle programmazioni sia nostre che straniere, dove ormai il cinema ti propone solo tragedie che perché poi andarle a viverle al cinema se ci sei dentro già per strada tutti i giorni.
(Visto al Multisala Fulgor di Firenze il 9 Nov alle 17.30. 25 persone educate, niente popcorn, o bisbiglii; poltrocine comode con confortevole spazio-gambe. Sonoro perfetto come l’acustica (il che non è la regola ahimè). Posti numerati con possibilità di scelta. Euro 4.50 a prezzo ridotto; nessuna pubblicità all’inizio,qui una goduria da apoteosi).
Che delusione!
Non potrei iniziare in altro modo questa recensione personalissima di “SPECTRE”. Titolo che evocava un’epopea filmica ed una indimenticabile trilogia fleminghiana. Invece è giunta una cocente scottatura. In primis per gli sceneggiatori e per l’acclamato Sam Mendes. “Skyfall” non era all’altezza di “American Beauty” ma era stato comunque una delle migliori pellicole della saga bondiana. Questo secondo lavoro si fa apprezzare giusto per il calembour di citazioni di cui più avanti stenderò un elenco (ecco, questo mi ha divertito) e per la conferma della fotografia, già molto buona in “Skyfall”.
Ma alla fine, tra i pregi appena citati ed un paio di isolatissime eccellenze quali Ben Whishaw che ha saputo coniugare magistralmente genio e goffaggine del Q dell’indimenticabile Desmond Llewellyn ed un Christoph Waltz che da “villain” cinematografico non sbaglia un colpo né una smorfia mimica… alla fine, cosa resta di concreto? Nulla.
Nulla perché Fiennes s’è bruciato: il suo M non è paragonabile alla determinazione di Judi Dench, all’elegante intelligenza di Bernard Lee ed al severo aplomb di Robert Brown.
Nulla perché Léa Seydoux ha sprecato la sua occasione due anni fa con l’evitabile “La vie d’Adéle” che l’ha caratterizzata come icona lesbo-arrabbiata al punto da far ricordare solo un naso a patata (neanche gli occhi blu sono valorizzati) e qualche urlo più una scontatissima scelta masochistica (caspita, è francese! Basta con i cliché!) di una sbornia da vino rosso prodromica ad una dormita a Tangeri.
Nulla perché Rory Kinnear è relegato a personaggio invisibile, il suo Bill Tanner che tanto era piaciuto nei due capitoli precedenti al punto da averne fatto rimpiangere l’esordio ritardato in “Quantum of solace” (controllate pure, in “Casino Royale” non c’è) qui si vede a malapena e non lascia traccia… ed allora a che serve sprecarlo così?
Nulla perché la Moneypenny di Naomie Harris sarà anche attualizzata ma pecca di una distanza eccessiva rispetto all’ideale di Ian Fleming.
Nulla perché Monica Bellucci, truccata orribilmente al punto da farla sembrare ben più vecchia dei suoi magnifici 51 anni, è una macchietta patetica che strappa un sorriso di compassione quando si fa denudare da Bond per un amplesso che precede l’appuntamento con la riunione del destino.
Nulla perché Dave Bautista era forse convincente sul palcoscenico del wrestling dove con i muscoli sapeva recitare a beneficio di bimbi e creduloni. Ma il cinema è altra cosa ed il povero Richard Kiel era di un livello superiore – senza scomodare Harold Sakata, altro ex lottatore il cui Oddjob (“Goldfinger”) è rimasto nella storia del cinema pur con l’handicap di un ruolo da sordomuto in una sola pellicola.
Nulla perché Andrew Scott risulta prevedibile. Davvero nessuno ha intuito che il suo “C” si sarebbe rivelato un infiltrato? Realmente?
Nulla perché anche Daniel Craig appare visibilmente stanco sullo schermo, meccanico, macchiettistico. Non c’è da stupirsi se nelle dichiarazioni alla stampa lui stesso si sia lamentato reclamando una pausa. Signori della EON, concedetegliela. Oppure chiudete la produzione perché se si stufa anche il miglior Bond da pellicola di sempre c’è da preoccuparsi.
Nulla infine perché la sceneggiatura è debole. Il videomessaggio postumo della precedente M, il “mi fido/non mi fido” di Mallory, Mr. White che da potentissimo capo di Quantum diventa pedina sacrificabile di Spectre, i legami impossibili da dimostrare con Le Chiffre, Silva, Patrice (ma Greene e Medrano? Niente? Dimenticati?), la presunta nascita di Blofeld quale supercriminale per vendicare un torto d’infanzia… Troppe situazioni inverosimili, con la chicca del Bond cecchino pochi minuti dopo la tortura neurale che dovrebbe lobotomizzarlo.
Volete divertirvi, svagarvi, regalarvi qualche botta di adrenalina visiva e sonora? Andate a vedere “SPECTRE”. Se cercate cinema d’autore, nelle sale per un paio di giorni c’è la riproposizione una tantum di “Amici Miei”. Altro genere, vero, ma quello era autentico cinema. Questo “SPECTRE” è solo un fumettone in stile “Mission Impossible”, scopiazzato e privo di quegli elementi di novità e di autentica qualità che valgono l’applauso – grazie a Federica che mi ha fatto notare quest’ultimo particolare.
Come promesso, la chicca finale delle citazioni:
-Scena d’apertura, Bond a Città del Messico: mascheramento da scheletro (“Vivi e lascia morire”), combattimento in elicottero (“Solo per i tuoi occhi”), musica di sottofondo (“Skyfall”).
-Titoli di testa: carrellata di cattivi del passato e di vecchi amori di Bond (“Al servizio segreto di Sua Maestà”).
-Scena “cazziatone di M”: vabbé, vista e rivista, lasciamo perdere e passiamo oltre…
-Scena riunione: tavolata a rapporto (“Thunderball”), scagnozzo con le protesi metalliche (il Dr. No).
-Scena corsa notturna: booster posteriore dell’Aston Martin (“Zona pericolo”).
-Scena al lago austriaco: scacchiera (“Dalla Russia con amore”), gaffe della videocamera di sorveglianza non disattivata (“Casino Royale”).
-Scena montana: clinica in cima alla montagna (“Al servizio segreto di Sua Maestà”), funivia (ancora “Al servizio segreto di Sua Maestà” e “Moonraker”), confronto auto vs. velivolo (“La spia che mi amava”).
-Scena Tangeri: ambientazione (“Zona pericolo”).
-Scena del treno: lotta notturna con un henchman (“Dalla Russia con amore”, “Vivi e lascia morire”, “La spia che mi amava”).
-Scena base nel cratere: location (“Si vive solo due volte”), abito di Blofeld (prima apparizione addosso al Dr. No, poi un must del villain al pari del gatto bianco), trionfo di esplosioni con fuga aerea (“Goldeneye”).
-Scena Londra notturna: in barca sul Tamigi (“Il mondo non basta”), cicatrice di Blofeld (“Si vive solo due volte”), duello a mani nude con henchman che precipita (“La spia che mi amava”, “Skyfall”), abbattimento elicottero a colpi di pistola (“Goldeneye”).
Citazioni dotte, per esperti: “Hildebrand”, indicata come safe house dell’MI6, era parte del titolo di una novella di Fleming; il cognome Oberhauser era stato usato da Fleming per uno dei personaggi delle short stories bondiane. Il nickname “C” in realtà designa il capo dell’MI6 – Fleming utilizzò M in quanto iniziale del secondo cognome del primo capo dei Servizi inglesi (l’altro cognome iniziava appunto con la lettera C).
Errori: nella scena in cui Bond entrare nella Whitehall semidistrutta ed abbandonata si imbatte nella lapide commemorativa degli agenti caduti. Comprensibile la mancanza della fu M Barbara Mawdsley (morta dopo l’abbandono della sede), è inspiegabile l’assenza di Thiago Rodrigues alias Raoul Silva: la stessa M parlando col prigioniero in “Skyfall” ammise l’esistenza del nome sulla lapide con la ripromessa di farlo cancellare… ma sulla lastra di pietra non ci sono tracce di rimozione. Dimenticanza degli sceneggiatori?
E’ tutto.